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EPICANEWS

BLOG INFORMATIVO DELLO STUDIO EPICA

Aggiornamenti e notizie in materia aziendale, fiscale, contrattuale e societaria

Cassazione: la dichiarazione dei redditi si può correggere anche davanti al giudice.

NEWS Posted on Tue, September 18, 2018 06:28:56

POST 386

Con l’ordinanza n.16244 del 20 giugno 2018 la Corte di Cassazione ha
ribadito il principio secondo cui il contribuente ha la possibilità di correggere eventuali errori, di fatto o
di diritto, commessi nella redazione della dichiarazione dei redditi ovvero
eventuali incidenti sull’obbligazione tributaria, oltre che nei termini
previsti dalla legge, anche in sede
contenziosa
per opporsi alla maggiore pretesa tributaria dell’amministrazione
finanziaria.

Nel caso di specie è stata
infatti riconosciuta la possibilità al contribuente di rettificare errori gravi
nell’invio della dichiarazione dei redditi, che in questa circostanza risultava
addirittura omessa, di modo da potersi opporre alla maggiore pretesa fiscale
dell’Amministrazione finanziaria.

È evidente come questo
principio sia volto alla tutela del
contribuente
dinanzi ad un comportamento in aperto contrasto col principio di
buon andamento della pubblica
amministrazione
sancito dall’articolo 97 della Costituzione e con
l’obbligo di buona fede e correttezza
contenuto nell’articolo 10 dello Statuto dei diritti del contribuente (Legge
212/2000).

Alberto Simonetti
Dottore Commercialista – Studio EPICA – Treviso



Incertezza normativa e sanzioni tributarie: le linee guida della Cassazione.

NEWS Posted on Tue, September 11, 2018 06:39:15

POST 385

Come noto l’articolo 8 del d.lgs.
546/1992 e l’articolo 6 del d.lgs 472/1997 stabiliscono che non possono essere
comminate sanzioni amministrative al Contribuente che violi la norma tributaria
qualora la violazione sia giustificata “da
obiettive condizioni di incertezza sulla portata e sull’ambito di applicazione
delle disposizioni alle quali
[la norma tributaria ndr.] si riferisce”.

Di recente la Corte di
Cassazione, con la sentenza n. 18405 dello scorso 12 luglio 2018, è intervenuta
proprio sul delicato concetto di incertezza della norma tributaria arrivando a
concludere che “costituisce, quindi, causa di esenzione del contribuente dalla responsabilità amministrativa
tributaria una condizione di inevitabile incertezza sul contenuto, sull’oggetto
e sui destinatari della norma tributaria
, ossia l’insicurezza ed
equivocità del risultato conseguito attraverso la sua interpretazione”.

Con questa sentenza la Corte
di Cassazione non si è limitata unicamente ad enunciare il concetto stesso di
incertezza normativa ma ha inoltre sancito il principio secondo cui l’essenza del fenomeno dell’incertezza
normativa oggettiva si possa rilevare attraverso una serie di fatti indice
,
che spetta al giudice accertare e valutare nel loro valore indicativo,
individuati a titolo esemplificativo:

1.
nella difficoltà d’individuazione delle disposizioni normative, dovuta
magari al difetto di esplicite previsioni di legge;

2.
nella difficoltà di confezione della formula dichiarativa della norma
giuridica
;

3.
nella difficoltà di determinazione del significato della formula dichiarativa
individuata;

4.
nella mancanza di informazioni amministrative o nella loro contraddittorietà;

5.
nella mancanza di una prassi amministrativa o nell’adozione di prassi amministrative contrastanti;

6.
nella mancanza di precedenti giurisprudenziali;

7.
nella formazione di orientamenti giurisprudenziali contrastanti;

8.
nel contrasto tra prassi amministrativa e orientamento giurisprudenziale;

9.
nel contrasto tra opinioni dottrinali;

10.
nell’adozione di norme di interpretazione autentica o
meramente esplicative di norma implicita preesistente.

Alberto Simonetti
Dottore Commercialista – Studio EPICA – Treviso



Le Sezioni Unite sui presupposti dell’assegno divorzile.

NEWS Posted on Sat, September 08, 2018 06:38:13

POST 384

Sul contrasto giurisprudenziale in tema di
presupposti dell’assegno divorzile dopo il revirement della Cassazione
che con sentenza n. 11504 del 10 maggio 2017 aveva indicato un criterio di
determinazione svincolato dal tenore di vita goduto dai coniugi in costanza di
matrimonio, si sono pronunciate le Sezioni Unite con sentenza n. 18287 del 10
aprile 2018, pubblicata il successivo 11 luglio, con una svolta che tiene conto
del ruolo effettivo del coniuge nella famiglia prima dello scioglimento del
matrimonio.

Il diritto del coniuge debole a percepire
l’assegno divorzile è subordinato normativamente alla mancanza di mezzi
adeguati o all’incapacità di procurarseli per ragioni oggettive (art. 5, comma
sesto, L. div.), presupposto che la giurisprudenza, mancando un’indicazione
legislativa più precisa, ha da sempre ancorato al “tenore di vita” goduto in
costanza di matrimonio. La nota sentenza sentenza n. 11504 del 10 maggio 2017,
superando il consolidato orientamento precedente e ispirandosi al principio di
autoresponsabilità economica dei coniugi dopo il divorzio, ha ritenuto che il
diritto all’assegno fosse da ancorare alla mancanza di autosufficienza
economica, con onere della prova a carico del coniuge richiedente. Solo
all’esito positivo di tale giudizio e ai fini della determinazione del quantum
dell’assegno, avrebbero dunque assunto rilievo -secondo questa impostazione- i
criteri indicati dalla norma (condizioni dei coniugi, ragioni della decisione,
contributo personale ed economico alla conduzione familiare e alla formazione
del patrimonio personale e comune, reddito, durata del matrimonio).

Le Sezioni Unite, chiamate a dirimere il
conflitto delle decisioni in sede applicativa dei principi in materia, hanno
criticato la scelta di collegare la nozione di “adeguatezza” dei mezzi di
sostentamento del coniuge debole a criteri estranei rispetto agli indicatori
fissati dalla legge (“tenore di vita” e “autosufficienza economica”).
Oltretutto detti concetti sono astratti e pongono le basi per un’eccessiva
discrezionalità del giudice del divorzio. Si è precisato in particolare che il
parametro del tenore di vita, incentrato prevalentemente sulla comparazione
delle condizioni economico-patrimoniali a scapito dell’autoresponsabilità degli
ex coniugi, può condurre a “rendite di posizione” e a un’ingiustificata
locupletazione qualora il coniuge richiedente goda di una posizione economica
agiata.

Dall’altro lato, il Supremo Collegio osserva
che il parametro dell’“autosufficienza economica” suggerito da alcune
precedenti pronunce, non tiene in debita considerazione eventuali scelte comuni
dei coniugi né il contributo economico-patrimoniale di ciascuno nel rapporto
matrimoniale. Il principio fissato nella sentenza 11504/2017, infatti, pur
condivisibile -secondo le Sezioni Unite- nella parte in cui coglie la
potenzialità deresponsabilizzante del parametro del tenore di vita, omette di
considerare che è proprio realizzando spinte di autodeterminazione e di
autoresponsabilità che i coniugi hanno deciso di unirsi in matrimonio, di
realizzare un certo modello di relazione coniugale, con ciò imprimendo alle
proprie condizioni personali ed economiche un corso spesso irreversibile. È un
dato di fatto che l’impegno nella famiglia spesso esclude o limita quello volto
alla costruzione di un percorso professionale e reddituale individuale.

Le Sezioni Unite, con la sentenza in
commento, hanno proposto una rilettura dell’art. 5, comma sesto, L. div. dando
valore sia alla funzione riequilibratrice dell’assegno, sia all’esigenza,
riscontrata anche in altri ordinamenti europei, di perseguire la pari dignità
degli ex coniugi.

In questa prospettiva, i citati criteri
determinativi indicati dalla legge sul divorzio devono assumere primaria importanza,
in contrapposizione sia all’orientamento tradizionale, che li relegava a una
mera funzione di “aggiustamento” dell’assegno, già determinato nel quantum
in base al parametro del tenore di vita, sia al più recente indirizzo, che vi
attribuisce rilievo solo in via eventuale e successiva rispetto
all’accertamento della non autosufficienza economica del coniuge richiedente.

La decisione, superando la rigida
distinzione tra criterio attributivo e criteri determinativi dell’assegno,
attribuisce rilevanza alla comparazione della situazione economico-patrimoniale
delle parti, evitando il rischio però di ingiustificato arricchimento ove si
considerasse assorbente il criterio del tenore di vita, e, al contempo,
suggerisce un’adeguata tutela in funzione
riequilibratirice, nelle situazioni in cui la sensibile disparità
economica dei coniugi dipende dalle comuni scelte sull’indirizzo della vita
familiare, con sacrificio delle aspettative professionali del coniuge che abbia
assunto un ruolo trainante endofamiliare.

Questo nuovo criterio, che la Corte
definisce “assistenziale-compensativo”, contrapposto all’astrattezza di quelli precedentemente
indicati dalla stessa Cassazione, appare più adatto a regolare una molteplicità
dei modelli familiari, calandosi, in concreto, nel reale contesto sociale del
richiedente. La finalità è quella di ristabilire una situazione di equilibrio
pregiudicata dallo scioglimento del vincolo, scioglimento che -rileva la
Suprema Corte- incide sì sullo status, ma non cancella per questo tutti
gli effetti e le conseguenze delle scelte e delle modalità di realizzazione
della vita familiare.

A fronte di una domanda di riconoscimento
del diritto all’assegno, dunque, il giudice di merito deve procedere a una
comparazione effettiva delle condizioni economico-patrimoniali delle parti,
considerare le cause che hanno condotto alla condizione attuale di disparità,
verificando in particolare se essa derivi da scelte condivise sulla
ripartizione dei ruoli familiari, tenere conto della durata del vincolo matrimoniale, dell’età del
coniuge debole e della situazione attuale del mercato del lavoro.

Sotto il profilo dell’onere probatorio nel
giudizio di divorzio, il coniuge che richiede l’assegno è tenuto, pertanto, a
fornire la prova rigorosa (con ogni mezzo e anche mediante presunzioni) della
riconducibilità causale della disparità economica agli indicatori di cui alla
prima parte dell’art. 5, comma sesto, L. div. e, in particolare, del
“contributo fornito alla conduzione della vita familiare e alla formazione del
patrimonio comune e personale dell’altro coniuge”.

Sulla base
di questa regola, l’ assegno di divorzio viene ad assolvere una funzione
assistenziale più complessa che comprende una componente equilibratrice,
direttamente derivante dal principio costituzionale di solidarietà, anche nella
fase post-coniugale. In questa prospettiva, abbandonato definitivamente
l’orientamento che descrive l’assegno divorzile finalizzato alla ricostruzione
del tenore di vita endoconiugale, si attribuisce rilevanza al contributo
familiare dell’ex coniuge e alle rinunce che hanno inciso sulla sua formazione
professionale e sulla percezione di reddito in costanza di matrimonio.

Avv. Emanuela Andreola



Conversione del “Decreto Dignità” e contratti di lavoro a termine.

NEWS Posted on Fri, August 10, 2018 19:43:41

POST 383

Il 7 agosto 2018 è stato
approvato in via definitiva al Senato il “Decreto dignità” che prevede, tra le
altre, importanti variazioni alla disciplina del contratto a termine. Il DL
87/2018, entrato in vigore il 14 luglio scorso, è stato oggetto di importanti
modifiche durante l’iter di conversione in legge di cui si attende la pubblicazione in GU.

Relativamente ai contratti a tempo
determinato la legge ha introdotto un periodo
transitorio che va dal 14 luglio scorso al 31 ottobre 2018
, istituito per
consentire ai datori di lavoro di recepire gradualmente la nuova normativa.

Tale periodo transitorio sta però
creando notevoli difficoltà interpretative in merito alla gestione delle varie
casistiche sia dei tempi determinati in corso, sia di quelli che verranno
instaurati da adesso in poi.

Si stanno pertanto attendendo ulteriori circolari esplicative
risultando difficoltoso comprendere quale comportamento tenere nelle
innumerevoli casistiche che le aziende incontrano nell’instaurare ma
soprattutto nel prorogare o rinnovare i contratti in essere.

Riassumendo le più salienti
novità introdotte dalla legge in merito ai contratti a tempo determinato:

Per tutti i contratti instaurati dopo il 14 luglio 2018 e per tutti quelli che saranno rinnovati o prorogati dopo il 31 ottobre
2018:


12 mesi
la durata massima del contratto acausale


Proroga di massimo ulteriori 12 mesi con inserimento di almeno una delle seguenti causali:

·
Esigenze
temporanee e oggettive, estranee all’ordinaria attività ovvero per esigenze di
sostituzione di altri lavoratori

·
Esigenze
connesse ad incrementi temporanei, significativi e non programmabili
dell’attività ordinaria.


Esclusi i lavori stagionali, la durata massima della sommatoria dei
rapporti a tempo determinato con lo stesso datore di lavoro non può superare i 24 mesi.


Il numero delle proroghe di un contratto a termine è passato da 5 a massimo 4 nell’arco dei 24 mesi.


In caso di superamento dei 24 mesi, di mancanza
delle causali sopra indicate o di quinta proroga, avviene la trasformazione del
rapporto a tempo indeterminato del rapporto.


In caso di rinnovi
del contratto (cioè riassunzione a tempo determinato del medesimo
lavoratore) è sempre obbligatoria
l’indicazione della causale con gli
stessi parametri sopra indicati. Sono esclusi gli stagionali.

Per
i contratti instaurati prima del 14 luglio 2018 ai sensi del DL 81/2015
rimarranno validi i limiti di durata massima di 36 mesi con 5 proroghe
acausali, fermo restando che i rinnovi e
le proroghe
che avverranno dopo il
31 ottobre 2018
si adegueranno ai nuovi
limiti
normativi.

Si ricorda
inoltre che in aggiunta alla contribuzione
addizionale
del 1,4% prevista per i contratti a termine di cui all’art. 2,
comma 28, della Legge n. 92/2012, è previsto un ulteriore incremento pari allo 0,5% per ogni rinnovo o proroga del contratto, compreso il lavoro
somministrato (es: dopo due proroghe o due riassunzioni la contribuzione
aggiuntiva sarà pari al 2,4% totali)

Raffaella
Casellato
Consulente
del lavoro



Novità su comunicazione dati fatture.

NEWS Posted on Wed, August 01, 2018 09:47:21

POST 382

Il decreto legge “dignità” rinvia
di tre mesi la scadenza per la comunicazione dei dati delle fatture emesse e
ricevute nel terzo trimestre 2018. Infatti, il DL 87/2018 posticipa dal
30.11.2018 al 28.2.2019 il termine di invio dei dati delle fatture del terzo trimestre
2018, per i soggetti IVA che per il 2018 trasmettono la comunicazione con
cadenza trimestrale.

Tali soggetti inviano la comunicazione relativa alle fatture
emesse e ricevute nel 2018 secondo i seguenti termini:

31.5.2018 per il primo trimestre;

30.9.2018 per il secondo trimestre – termine posticipato
all’1.10.2018, in quanto il 30.9.2018 è una domenica;

28.2.2019 sia per il terzo che per il quarto trimestre 2018.

Per i soggetti che hanno optato per la trasmissione della
comunicazione con cadenza semestrale l’art. 11 al c. 2, esplicita i nuovi
termini di invio:

30.9.2018, per i dati del primo semestre 2018 – differito
all’1.10.2018, in quanto il 30.9.2018 cade di domenica;

28.2.2019 per i dati del secondo semestre 2018.

Si ricorda che, a partire dall’anno 2019, a seguito
dell’introduzione dell’obbligo generalizzato di fatturazione elettronica, la
comunicazione dei dati delle fatture è abolita (art. 1 co. 916 della L.
205/2017).

Dr.ssa Giulia Griselda
STUDIO EPICA – TREVISO



Proroga al 20 agosto per la comunicazione delle locazioni brevi.

NEWS Posted on Tue, July 31, 2018 10:13:15

POST 381

Con il provvedimento n. 123723
l’Agenzia delle Entrate ha prorogato
dal 02 luglio al 20 agosto 2018
il termine per la comunicazione dei
dati relativi alle locazioni brevi per il 2017.

L’adempimento riguarda la
comunicazione, in capo agli intermediari, delle locazioni brevi sottoscritte per il loro tramite dal 1° giugno 2017 al 31 dicembre 2017.

Questo adempimento ha una
portata residuale poiché gli intermediari che sono intervenuti, operando
ritenuta d’acconto al pagamento dei canoni, dovevano presentare le
Certificazioni Uniche attestanti le ritenute operate entro il 7 marzo scorso. In
tal caso, l’invio della relativa certificazione assolve anche gli obblighi di
comunicazione dei dati del contratto di cui infra.

Inoltre, la comunicazione non
riguarda tutte le locazioni brevi ma solamente quelle stipulate a partire dal
1° giugno 2017, aventi ad oggetto immobili ad uso abitativo, comprese le
sublocazioni e le concessioni in godimento a terzi a titolo oneroso da parte
del comodatario, ove il locatore sia una persona fisica al di fuori
dell’esercizio dell’attività di impresa e per i quali non sono state operate
ritenute.

Dr.ssa Giulia Griselda
Studio EPICA – Treviso



DL Dignità: prestazioni professionali senza Split Payment.

NEWS Posted on Mon, July 30, 2018 13:55:13

POST 380

Il Decreto Legge del 12 luglio
2018 n. 87 c.d. decreto “dignità” esclude
dallo split payment le prestazioni di servizi soggette a ritenuta alla fonte a
titolo di imposta sul reddito nonché quelle soggette a ritenuta a titolo
d’acconto.

Con la nuova norma non sono più assoggettati al meccanismo
dello split payment, i professionisti (residenti),
i cui compensi sono assoggettati a ritenuta a titolo d’acconto a norma
dell’art. 25 comma 1 del DPR 600/73, per i redditi di lavoro autonomo da essi
percepiti. Varia sostanzialmente il soggetto tenuto al versamento dell’imposta:
l’obbligo del versamento per queste figure professionali non ricade più sulla
pubblica amministrazione o società committente ma torna in capo al prestatore.

Dovrebbero restare soggette a
split payment le operazioni rese nei rapporti di commissione, di agenzia, di
mediazione, di rappresentanza di commercio e di procacciamento di affari le cui
provvigioni sono soggette a ritenuta di cui all’articolo 25 bis D.P.R.
600/1973.

Per i professionisti non
residenti, i cui compensi sono soggetti a ritenuta a titolo d’imposta se il
servizio è reso a un committente soggetto passivo stabilito in Italia, l’IVA
sarà comunque dovuta mediante il reverse charge, meccanismo che “prevale” sullo
split payment.

Le disposizioni sono
applicabili alle operazioni per le quali è emessa fattura successivamente
all’entrata in vigore del decreto, ovvero dal
15/07/2018.

Dr.ssa Giulia Griselda
Studio EPICA – Treviso



Farmacie e Parafarmacie: il Notariato e la Legge sulla Concorrenza.

NEWS Posted on Sun, July 29, 2018 16:11:35

POST 379

Il Decreto Bersani e in particolare l’art. 5 della Legge n. 248/2006, ha liberalizzato la vendita dei farmaci da banco e di automedicazione e di tutti i farmaci o prodotti non soggetti a prescrizione medica. Da allora SOP e OTC possono essere venduti al di fuori del “canale farmacia”, in esercizi commerciali e corner della grande distribuzione organizzata (g.d.o.), previa presentazione delle necessarie comunicazioni al Ministero della salute e alla Regione di competenza, purché alla presenza di uno o più farmacisti, in grado di assistere la clientela nell’acquisto.

La norma, a differenza di quanto accadeva per le farmacie, non ha previsto particolari requisiti soggettivi che il proprietario della parafarmacia debba soddisfare: chiunque può quindi aprire una parafarmacia!

Appare così ovvio che anche il farmacista titolare di farmacia sia abilitato all’apertura di una parafarmacia, che può gestire sotto la stessa partita iva, seppur in locali distinti e, ai fini IVA, con due codici attività diversi.

Meno ovvia, anzi incomprensibile, risulta invece la preclusione imposta alle società titolari di farmacia dalla prassi di alcuni Enti competenti, in forza di una rigorosa interpretazione del disposto normativo (art.7, Legge n. 362/1991), secondo cui queste società devono avere come oggetto sociale esclusivo la “gestione di farmacie”.

Ma cosa si deve intendere oggi per gestione di farmacie? È davvero ancora ammissibile che le parafarmacie possano essere aperte da tutti, tranne solo le società titolari di farmacia?

Sul punto si è recentemente espresso il Consiglio Nazionale del Notariato, con lo Studio n.75-2018/I intitolato “Le Società per la gestione delle farmacie private”, che ha voluto affrontare la questione in considerazione delle novità introdotte dalla Legge sulla concorrenza (Legge 4 agosto 2017, n. 124).

Ebbene secondo il Notariato una lettura sistematica del nuovo contesto normativo debba consentire anche a queste società di possedere e gestire parafarmacie.

Tale conclusione -spiega il Notariato- non solo è in linea con la posizione assunta dall’Autorità Garante per la concorrenza e il mercato con la nota “AS413” del 6 agosto 2007, indirizzata al Parlamento, al Governo, agli Enti e alle diverse Istituzioni pubbliche coinvolte, ma è anche coerente con lo stesso Decreto Bersani, che all’art. 5 della Legge n. 248/2006, prevede esplicitamente che con la sua entrata in vigore viene abrogata ogni norma con esso incompatibile.

Ne discende pertanto che l’esclusività dell’oggetto sociale per le società titolari di farmacie, previgente rispetto al Decreto Bersani, seppur non espressamente da questo eliminata, debba essere tuttavia interpretata compatibilmente con esso.

Lo Studio conclude quindi affermando che anche le società di gestione di farmacie possono essere autorizzate all’apertura di una parafarmacia, a condizione che -al pari degli altri- nominino come preposto al punto vendita un farmacista iscritto all’albo, che potrà essere scelto anche tra i non soci e non sia direttore di farmacia.

Giovanni Loi
Dottore Commercialista – Studio EPICA – Mestre Venezia



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