POST 384

Sul contrasto giurisprudenziale in tema di
presupposti dell’assegno divorzile dopo il revirement della Cassazione
che con sentenza n. 11504 del 10 maggio 2017 aveva indicato un criterio di
determinazione svincolato dal tenore di vita goduto dai coniugi in costanza di
matrimonio, si sono pronunciate le Sezioni Unite con sentenza n. 18287 del 10
aprile 2018, pubblicata il successivo 11 luglio, con una svolta che tiene conto
del ruolo effettivo del coniuge nella famiglia prima dello scioglimento del
matrimonio.

Il diritto del coniuge debole a percepire
l’assegno divorzile è subordinato normativamente alla mancanza di mezzi
adeguati o all’incapacità di procurarseli per ragioni oggettive (art. 5, comma
sesto, L. div.), presupposto che la giurisprudenza, mancando un’indicazione
legislativa più precisa, ha da sempre ancorato al “tenore di vita” goduto in
costanza di matrimonio. La nota sentenza sentenza n. 11504 del 10 maggio 2017,
superando il consolidato orientamento precedente e ispirandosi al principio di
autoresponsabilità economica dei coniugi dopo il divorzio, ha ritenuto che il
diritto all’assegno fosse da ancorare alla mancanza di autosufficienza
economica, con onere della prova a carico del coniuge richiedente. Solo
all’esito positivo di tale giudizio e ai fini della determinazione del quantum
dell’assegno, avrebbero dunque assunto rilievo -secondo questa impostazione- i
criteri indicati dalla norma (condizioni dei coniugi, ragioni della decisione,
contributo personale ed economico alla conduzione familiare e alla formazione
del patrimonio personale e comune, reddito, durata del matrimonio).

Le Sezioni Unite, chiamate a dirimere il
conflitto delle decisioni in sede applicativa dei principi in materia, hanno
criticato la scelta di collegare la nozione di “adeguatezza” dei mezzi di
sostentamento del coniuge debole a criteri estranei rispetto agli indicatori
fissati dalla legge (“tenore di vita” e “autosufficienza economica”).
Oltretutto detti concetti sono astratti e pongono le basi per un’eccessiva
discrezionalità del giudice del divorzio. Si è precisato in particolare che il
parametro del tenore di vita, incentrato prevalentemente sulla comparazione
delle condizioni economico-patrimoniali a scapito dell’autoresponsabilità degli
ex coniugi, può condurre a “rendite di posizione” e a un’ingiustificata
locupletazione qualora il coniuge richiedente goda di una posizione economica
agiata.

Dall’altro lato, il Supremo Collegio osserva
che il parametro dell’“autosufficienza economica” suggerito da alcune
precedenti pronunce, non tiene in debita considerazione eventuali scelte comuni
dei coniugi né il contributo economico-patrimoniale di ciascuno nel rapporto
matrimoniale. Il principio fissato nella sentenza 11504/2017, infatti, pur
condivisibile -secondo le Sezioni Unite- nella parte in cui coglie la
potenzialità deresponsabilizzante del parametro del tenore di vita, omette di
considerare che è proprio realizzando spinte di autodeterminazione e di
autoresponsabilità che i coniugi hanno deciso di unirsi in matrimonio, di
realizzare un certo modello di relazione coniugale, con ciò imprimendo alle
proprie condizioni personali ed economiche un corso spesso irreversibile. È un
dato di fatto che l’impegno nella famiglia spesso esclude o limita quello volto
alla costruzione di un percorso professionale e reddituale individuale.

Le Sezioni Unite, con la sentenza in
commento, hanno proposto una rilettura dell’art. 5, comma sesto, L. div. dando
valore sia alla funzione riequilibratrice dell’assegno, sia all’esigenza,
riscontrata anche in altri ordinamenti europei, di perseguire la pari dignità
degli ex coniugi.

In questa prospettiva, i citati criteri
determinativi indicati dalla legge sul divorzio devono assumere primaria importanza,
in contrapposizione sia all’orientamento tradizionale, che li relegava a una
mera funzione di “aggiustamento” dell’assegno, già determinato nel quantum
in base al parametro del tenore di vita, sia al più recente indirizzo, che vi
attribuisce rilievo solo in via eventuale e successiva rispetto
all’accertamento della non autosufficienza economica del coniuge richiedente.

La decisione, superando la rigida
distinzione tra criterio attributivo e criteri determinativi dell’assegno,
attribuisce rilevanza alla comparazione della situazione economico-patrimoniale
delle parti, evitando il rischio però di ingiustificato arricchimento ove si
considerasse assorbente il criterio del tenore di vita, e, al contempo,
suggerisce un’adeguata tutela in funzione
riequilibratirice, nelle situazioni in cui la sensibile disparità
economica dei coniugi dipende dalle comuni scelte sull’indirizzo della vita
familiare, con sacrificio delle aspettative professionali del coniuge che abbia
assunto un ruolo trainante endofamiliare.

Questo nuovo criterio, che la Corte
definisce “assistenziale-compensativo”, contrapposto all’astrattezza di quelli precedentemente
indicati dalla stessa Cassazione, appare più adatto a regolare una molteplicità
dei modelli familiari, calandosi, in concreto, nel reale contesto sociale del
richiedente. La finalità è quella di ristabilire una situazione di equilibrio
pregiudicata dallo scioglimento del vincolo, scioglimento che -rileva la
Suprema Corte- incide sì sullo status, ma non cancella per questo tutti
gli effetti e le conseguenze delle scelte e delle modalità di realizzazione
della vita familiare.

A fronte di una domanda di riconoscimento
del diritto all’assegno, dunque, il giudice di merito deve procedere a una
comparazione effettiva delle condizioni economico-patrimoniali delle parti,
considerare le cause che hanno condotto alla condizione attuale di disparità,
verificando in particolare se essa derivi da scelte condivise sulla
ripartizione dei ruoli familiari, tenere conto della durata del vincolo matrimoniale, dell’età del
coniuge debole e della situazione attuale del mercato del lavoro.

Sotto il profilo dell’onere probatorio nel
giudizio di divorzio, il coniuge che richiede l’assegno è tenuto, pertanto, a
fornire la prova rigorosa (con ogni mezzo e anche mediante presunzioni) della
riconducibilità causale della disparità economica agli indicatori di cui alla
prima parte dell’art. 5, comma sesto, L. div. e, in particolare, del
“contributo fornito alla conduzione della vita familiare e alla formazione del
patrimonio comune e personale dell’altro coniuge”.

Sulla base
di questa regola, l’ assegno di divorzio viene ad assolvere una funzione
assistenziale più complessa che comprende una componente equilibratrice,
direttamente derivante dal principio costituzionale di solidarietà, anche nella
fase post-coniugale. In questa prospettiva, abbandonato definitivamente
l’orientamento che descrive l’assegno divorzile finalizzato alla ricostruzione
del tenore di vita endoconiugale, si attribuisce rilevanza al contributo
familiare dell’ex coniuge e alle rinunce che hanno inciso sulla sua formazione
professionale e sulla percezione di reddito in costanza di matrimonio.

Avv. Emanuela Andreola