POST 136/2020

L’art. 10 del D.L. 8/04/2020, n. 23 (cd. Decreto Liquidità) rubricato “Disposizioni temporanee in materia di ricorsi e richieste per la dichiarazione di fallimento e dello stato di insolvenza“, prevede l’improcedibilità tout court di tutti i ricorsi ai sensi degli articoli 15 (Procedimento per la dichiarazione di fallimento) e 195 (Accertamento giudiziario dello stato d’insolvenza anteriore alla liquidazione coatta amministrativa) del regio decreto 16 marzo 1942, n. 267 e 3 del D.Lgs. 8 luglio 1999, n. 270 (amministrazione straordinaria delle grandi imprese in stato di insolvenza), depositati nel periodo tra il 9 marzo e il 30 giugno 2020.

Tale previsione ha sin da subito destato non poche perplessità con riferimento alla facoltà dell’imprenditore di chiedere il proprio fallimento, negata da una lettura estensiva del citato art. 10, ammessa da una interpretazione letterale. 

Infatti, se condivisibile è l’esigenza di snellire l’attività dei Tribunali per effetto delle misure di contenimento da COVID-19 che hanno comportato organico ridotto e operatività “di emergenza”, se condivisibile è l’intento di disincentivare i debitori dal ricorrere alla richiesta del proprio fallimento per impulsività e sfiducia in una concreta ripresa data dal grave contesto economico in cui ci si trova per non arrecare un danno ancor più grave a creditori e stakeholders, non altrettanto condivisibile può essere il negare all’imprenditore che già versava in stato di insolvenza la possibilità di chiedere il proprio fallimento essendo l’unica (o l’ultima) opzione percorribile.

Invero, se con stato di insolvenza è inteso “lo stato di impotenza funzionale e non transitoria a soddisfare le obbligazioni inerenti all’impresa” (Cass. n. 7252/2014), caratterizzato da un’incapacità ad adempiere oggettiva, generalizzata e non transitoria, provata da inadempimenti e altri fatti indicativi, non pare esservi ragione per cui un soggetto che già versa in tale stato, magari da tempo, e si sta preparando a chiedere il proprio fallimento, debba attendere ulteriori (quasi) quattro mesi per poter intraprendere tale iniziativa che ha il solo scopo di garantire ai creditori la massima soddisfazione possibile mediante la pronta liquidazione degli assets e la ripartizione dell’attivo nel rispetto della par condicio creditorum.

Peraltro, tali iniziative sono generalmente il risultato di un accurato studio preliminare della situazione con i propri consulenti (tantopiù in questa fase dell’anno con la predisposizione e chiusura dei bilanci) che difficilmente sconta l’impulsività.

Da qui la querelle dottrinale e giurisprudenziale che vede emergere i primi orientamenti, primo fra tutti, il recente intervento del Tribunale di Piacenza dell’8 maggio scorso che ha dichiarato il fallimento della società “in proprio” ex art. 14 L.F. depositato durante il periodo di improcedibilità.

In sintesi, la voluntas legis deve rilevare in senso oggettivo e deve desumersi, in primo luogo, dal tenore letterale della norma, restando irrilevante, invece, l’intento “soggettivo” dei rappresentanti del potere legislativo.

Decisione che farà discutere.

È chiamato DL Liquidità, richiamando un qualcosa di palpabile seppur a volte sfuggente, volatile. Pare però che molte cose sfuggano e poche siano palpabili, certe.

Marco Bolognesi

Dottore Commercialista – Studio EPICA – Venezia Mestre