POST 76/2020

La Cassazione penale, con la sentenza n. 8995 del 5/3/2020, ponendosi in consapevole parziale contrasto con quanto già affermato in altri precedenti della stessa Corte, ha stabilito che la “prima casa” della persona indagata per il reato tributario di dichiarazione fraudolenta mediante uso di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti può essere sottoposta a sequestro preventivo finalizzato alla confisca.

La disposizione esaminata dal Supremo Collegio, cioè l’art. 76, comma primo, lettera a), (Espropriazione immobiliare) del D.P.R. n. 602 del 1973, afferma quanto segue: “Ferma la facoltà di intervento ai sensi dell’art. 499 c.p.c., l’agente della riscossione: a) non dà corso all’espropriazione se l’unico immobile di proprietà del debitore, con esclusione delle abitazioni di lusso aventi le caratteristiche individuate dal decreto del Ministro per i lavori pubblici 2 agosto 1969, e comunque dei fabbricati classificati nelle categorie catastali A/8 e A/9, è adibito ad uso abitativo e lo stesso vi risiede anagraficamente”.

La sentenza in commento ha escluso che tale disposizione limitativa dell’espropriazione esprima un principio generale applicabile alla “prima casa” del debitore tributario. Le ragioni di tale statuizione sono così espresse nei motivi della decisione.

In primo luogo e sul piano della formulazione letterale della disposizione sopra riportata, si afferma che “il limite posto dal legislatore all’espropriazione immobiliare non riguarda la ‘prima casa’, ma ‘l’unico immobile di proprietà del debitore’. Si tratta di un concetto evidentemente diverso da quello di “prima casa”, perché ha a che vedere con la consistenza complessiva del patrimonio del debitore e non semplicemente con la qualificazione del singolo immobile oggetto di pignoramento. Ne consegue che, per invocare l’applicazione della disposizione in tema di espropriazione immobiliare, il debitore non può limitarsi a prospettare che l’immobile pignorato è la sua ‘prima casa’, perché una tale prospettazione non esclude di per sé che lo stesso debitore sia proprietario di altri immobili”.

Secondariamente, “la disposizione in questione non fissa un principio generale di impignorabilità, perché si riferisce solo alle espropriazioni da parte del fisco per debiti tributari e non a quelle promosse da altre categorie di creditori per debiti di altro tipo. “Nè, a ben vedere, -conclude la Corte Suprema- “la disposizione in questione può trovare applicazione in relazione alla confisca penale, sia essa diretta o per equivalente, perché l’oggetto della confisca è il profitto del reato e non il debito verso il fisco. E i due concetti devono essere tenuti distinti, perché il profitto di delitti consistenti nell’evasione dell’imposta per mezzo di omessa, infedele o fraudolenta dichiarazione o di omesso versamento, che può essere oggetto di sequestro preventivo funzionale alla confisca, è costituito dal risparmio economico derivante dalla sottrazione degli importi evasi alla loro destinazione fiscale e non comprende nè le sanzioni dovute a seguito dell’accertamento del debito, che rappresentano, invece, il costo del reato stesso, derivante dalla sua commissione […] nè gli interessi maturati in favore dello Stato […]; mentre il debito verso il fisco è sempre comprensivo dell’originario debito tributario, degli interessi e delle sanzioni”.

L’affermazione di principio secondo cui il limite all’espropriazione della “prima casa” del debitore tributario noncostituisce una regola generale dell’ordinamento comporta una generalizzata attenuazione della (specifica) garanzia patrimoniale espressa dalla previsione normativa di cui all’art. 76, comma primo, lett. a), D.P.R. 1973, n. 602, in tutti quei casi in cui l’evasione dell’imposta si realizza attraverso condotte rilevanti sul piano penale. Dove l’esattore non può arrivare, supplisce il giudice penale per gli stessi fatti.

Avv. Claudio Tiberti