POST 211/2020   

Con la sentenza n. 21693, depositata l’8 ottobre 2020, la corte di Cassazione è tornata a pronunciarsi in tema di stabile organizzazione in Italia di soggetto estero.

Nella pronuncia in commento i giudici di legittimità hanno configurato quale stabile organizzazione in Italia l’attività svolta sul territorio nazionale di una società estera attraverso l’analisi di due aspetti fondamentali.

Con il primo aspetto, stando alla nozione di stabile organizzazione, i giudici hanno constatato che è necessario verificare se mediante la sede fissa d’affari la società estera svolge la propria attività nel territorio italiano ovvero un’attività economicamente rilevante, intesa in senso ampio, che comprende lo svolgimento di una prestazione di servizi o in generale qualunque attività di impresa purché riferibile al soggetto che la esercita.

Viene altresì precisato come tuttavia debbano essere escluse dal concetto di stabile organizzazione le attività non suscettibili di produrre un reddito autonomo (attività meramente preparatorie o ausiliarie). 

In altre parole non può configurarsi stabile organizzazione quando non sussiste un collegamento con l’attività produttiva dell’impresa.

Nel caso esaminato la Corte ha però specificato come detta esenzione non operi nel caso in cui le attività ausiliarie siano svolte unitamente ad un processo produttivo ancorché limitato a clienti italiani. Inoltre è stato precisato che per aversi stabile organizzazione la sede italiana deve essere utilizzata dall’impresa non residente per l’esercizio della sua attività il che non implica necessariamente che l’attività in questione debba coincidere con quella esercitata dalla casa madre, essendo sufficiente il fatto che sia svolta anche solo una qualunque attività d’impresa purché, come già sopra ricordato, riconducibile al soggetto che la esercita.

Nel caso di specie non è stata reputata mera attività ausiliaria l’attività di finanziamento svolta in favore di altre società, sempre facenti parte del medesimo gruppo, in quanto inquadrata come vera e propria attività d’impresa per la quale era dunque ipotizzabile il perseguimento di un autonomo risultato economico rispetto a quello conseguito dalla sede centrale.

Il secondo aspetto analizzato riguarda il ruolo svolto in Italia da un “amministratore di fatto” della stabile il quale avrebbe compiuto per conto della società una pluralità di attività:

– perfezionamento di contratti di acquisto e vendita;

– reimpiego del denaro ottenuto con l’attività di impresa attraverso:

– investimenti;

– finanziamenti;

– mutui a garanzia a beneficio suo e di soggetti terzi.

Attività queste che secondo la corte hanno invece integrato il requisito previsto dal comma 6 dell’articolo 162 del TUIR relativo al concetto di agente dipendente poiché, nello specifico, tale soggetto:

– emetteva fatture per conto della società;

– conservava la documentazione nell’interesse della società;

– perfezionava contratti di vendita (con propria firma autografa);

– curava i rapporti con le banche in Italia;

– pagava i fornitori;

– dava disposizioni alle banche per procedere all’incasso.

La Corte ha in ultimo specificato che, ai fini della verifica della fattispecie di cui al comma 6 dell’articolo 162 del TUIR, deve porsi dovuta attenzione, nel caso di specie, alla pluralità di attività concretamente esercitate, in particolare:

– l’attività di acquisto per conto delle consociate;

– la circostanza che i corrispettivi venissero inviati direttamente sui conti correnti accesi in Italia e l’eventuale natura di intermediazione della medesima; 

– la specifica funzione di finanziamento svolta;

– l’attività di reimpiego del denaro. 

Alberto Simonetti

Dottore Commercialista – Studio EPICA Treviso e Udine