POST 199/2020

Con la riforma della tassazione degli utili derivanti da partecipazioni qualificate percepiti dalle persone fisiche e maturati a partire dal 2018, introdotta dalla Legge di bilancio 2018, è stata prevista l’applicazione di una imposta sostituiva al 26% in luogo della parziale imponibilità IRPEF.

L’applicazione di questa nuova modalità di tassazione, prima riservata esclusivamente alle partecipazioni non qualificate, ha in sostanza determinato un aggravio in termini di prelievo impositivo oltreché un problema di doppia tassazione per gli utili percepiti dalle persone fisiche provenienti da partecipazioni di qualsiasi tipo in società estere.

Tale maccanismo impositivo infatti non consente, vista la metodologia applicativa del credito di imposta estero previsto sia dal nostro articolo 165 del TUIR che dal dettato delle varie convenzioni internazionali (i quali prevedono il recupero delle imposte estere solo qualora il relativo reddito estero entri a far parte del reddito complessivo cosa che non avviene nel caso di imposizione tramite imposta sostitutiva), il recupero delle imposte trattenute e versate all’estero al momento dell’uscita dei predetti dividendi verso l’Italia.

Altro tema è poi quello legato alla base imponibile. Ci si potrebbe domandare infatti se la base imponibile da prendere a riferimento in Italia sia a questo punto, vista l’impossibilità di usufruire del credito di imposta, da considerare al netto ovvero al lordo delle imposte trattenute all’estero. Sul punto l’Agenzia delle Entrate (circolare AE 26/e del 2004 prima e circolare AE 80/E del 2007 poi) è intervenuta distinguendo di fatto due fattispecie:

  • una secondo la quale è possibile applicare il cd. “netto frontiera” solo nel caso in cui gli utili siano percepiti dal residente in Italia esclusivamente per tramite di un intermediario residente (ad esempio una banca o una fiduciaria);
  • l’altra secondo cui non è possibile applicare la base imponibile al netto delle imposte pagate all’estero(quindi “lordo frontiera”) nel caso in cui i dividendi siano percepiti in Italia senza l’intervento di un intermediario residente.

Tale aspetto costituisce senz’altro una, a dir poco, censurabile disparità di trattamento.

Va inoltre segnalato come, anche quest’anno, le istruzioni al Modello Redditi 2020 nel presentare il rigo RM12 sezione V della dichiarazione, rigo dedicato all’indicazione degli utili provenienti da società estere, richiedano necessariamente l’indicazione degli importi percepiti al lordo delle imposte trattenute all’estero negando così, ancora una volta, la possibilità di considerare quale base imponibile il “netto frontiera” oltreché non prevedere un apposito meccanismo di recupero delle imposte versate all’estero.

Secondo tale impostazione dunque è evidente come in molti casi, dove ai sensi delle convenzioni stipulate dall’Italia con paesi esteri le trattenute in uscita possono arrivare anche al 15% (è il caso del Lussemburgo), si possa arrivare ad una imposizione complessiva pari al 41% (26%+15%) la quale rischia, a conti fatti, di essere paradossalmente più gravosa rispetto a quella prevista per le partecipazioni in società paradisiache i cui dividendi vengono tassati direttamente in IRPEF secondo il meccanismo della trasparenza.

È evidente come tale anomalia si presenti senza dubbio in conflitto con la ratio contenuta nelle diverse convenzioni per evitare le doppie imposizioni stipulate dal nostro Paese nonché in termini più generali con il principio generale della libertà di circolazione dei capitali previsto dei trattati di funzionamento dell’Unione Europea.

Alberto Simonetti

Dottore Commercialista – Studio EPICA Treviso e Udine