POST 98

Con la recente sentenza n. 13901/2016 la Corte di Cassazione ha avuto modo di pronunciarsi su alcuni importanti profili attinenti il rapporto tra reato di riciclaggio e reato presupposto.

Il delitto di riciclaggio, come noto, è disciplinato dall’articolo 648 bis del Codice penale il quale, ai fini della sussistenza del reato, (i) non ritiene necessario che l’illecita provenienza risulti accertata da una sentenza definitiva, potendo anche essere desunta sulla base di prove logiche, (ii) non richiede che l’autore del delitto da cui il denaro o le cose provengono sia imputabile o punibile e (iii) non da rilevanza ad eventuali cause di estinzione del reato presupposto, quali la prescrizione.

Il caso esaminato dalla citata sentenza vedeva l’accusa di riciclaggio a carico di un erede che aveva fatto rientrare in Italia, con una intricata serie di operazioni, una importante somma che era stata trasferita in paesi a fiscalità privilegiata dal padre defunto nei confronti del quale, tuttavia, sino alla morte, non era stata intrapresa alcuna indagine giudiziaria o accertamento fiscale. L’accusa nei confronti dell’erede trovava fondamento sul fatto che non risultava che il padre fosse titolare di redditi diversi da quelli derivanti dalla società di famiglia, circostanza da cui il PM deduceva che le somme in questione non potevano che essere frutto di evasione fiscale ed esportate con mezzi fraudolenti.

La Corte, rilevando che nel caso in esame non era possibile escludere a priori che i fondi costituiti all’estero potessero essere di provenienza lecita, assolveva l’imputato dall’accusa di riciclaggio statuendo che, se è pur vero che per la configurabilità della fattispecie di riciclaggio non è necessaria l’individuazione, nei suoi esatti termini, del reato presupposto la stessa non è tuttavia configurabile quando si verte in una situazione nella quale addirittura non sia possibile stabilire se vi sia stato un delitto presupposto.

Tommaso Talluto
Avvocato – Studio Epica – Treviso