POST 35

Con l’approvazione dei decreti legislativi n. 180 e 181 del 16 novembre scorso l’Italia ha dato attuazione alla direttiva europea n. 2014/59/UE in materia di salvataggi bancari introducendo limiti all’utilizzo di risorse del settore pubblico attraverso il coinvolgimento di clienti e investitori nelle operazioni di recupero degli intermediari in crisi.

La principale delle misure di risoluzione introdotte dalla citata normativa riguarda il c.d. “bail-in” che consiste nella riduzione dei diritti degli azionisti e dei creditori dell’istituto o nella conversione in capitale dei diritti di questi ultimi.

Le disposizioni in materia di bail-in saranno applicabili a far data dal 1° gennaio 2016 e troveranno applicazione anche agli strumenti già emessi e già oggi in possesso degli investitori.

Il bail-in si applica seguendo una gerarchia tra strumenti finanziari più e meno rischiosi e prevede che solo dopo aver esaurito tutte le risorse della categoria più rischiosa si passi alla categoria successiva.

Qualora un intermediario sia un una situazione di crisi si sacrificano dunque, in primo luogo, gli interessi dei “proprietari della banca”, riducendo o azzerando il valore delle azioni delle loro azioni, ed in secondo luogo si interviene su alcune categorie di creditori le cui attività posso essere trasformate in azioni o ridotte nel valore (quali ad esempio le obbligazioni bancarie).

L’ordine di priorità per il bail-in previsto dall’articolo 52, comma 1 del D.Lgs. n. 180/2015 è il seguente:

1. gli azionisti;

2. i detentori di altri titoli di capitale;

3. gli altri creditori subordinati;

4. le persone fisiche e le piccole e medie imprese titolari di depositi per l’importo eccedente i 100.000 euro;

5. il fondo di garanzie dei depositi, che contribuisce al bail-in al posto dei depositanti protetti.

Sono invece escluse dal bail-in le seguenti passività:

a) i depositi di importo fino a 100.000 euro;

b) le passività garantite, inclusi i covered bond e gli altri strumenti garantiti;

c) le passività derivanti dalla detenzione di beni della clientela o in virtù di una relazione fiduciaria (es. cassette di sicurezza o i titoli detenuti in un conto apposito);

d) le passività interbancarie (ad esclusione dei rapporti infragruppo) con durata originaria inferiore a 7 giorni;

e) le passività derivanti dalla partecipazione ai sistemi di pagamento con una durata residua inferiore a 7 giorni;

f) i debiti verso i dipendenti, i debiti commerciali e quelli fiscali purchè privilegiati dalla normativa fallimentare.

A seguito dell’introduzione della nuova normativa in materia di salvataggi bancari le banche sono quindi tenute ad informare adeguatamente i loro clienti sui rischi legati al bail-in ed in particolare sul diverso grado di rischio dei vari strumenti in ragione della gerarchia in base alla quale la procedura di recupero andrà a coinvolgere clienti e investitori.

Tommaso Talluto
Avvocato – Studio Epica – Treviso