POST 81/2025
Con risposta ad interpello n. 252 del 25 settembre 2025, l’Agenzia delle Entrate è tornata a fornire chiarimenti in tema di “carried interest”, ossia dei proventi da diritti patrimoniali rafforzati che costituiscono una forma di remunerazione usualmente utilizzata dai fondi di investimento attribuiti ad alcuni dei manager amministratori allo scopo di vincolare la loro posizione a quella degli altri soci e alle performance dell’investimento effettuato dal fondo medesimo.
Sotto il profilo fiscale, l’art. 60 del DL 50/2017 prevede che, i proventi derivanti dagli strumenti finanziari aventi diritti patrimoniali rafforzati percepiti da manager e dipendenti siano qualificati come redditi di capitale o diversi, se sono rispettate le seguenti condizioni:
– l’impegno di investimento complessivo di tutti i dipendenti e amministratori comporti un esborso effettivo pari ad almeno l’1% dell’investimento complessivo effettuato dal fondo o del patrimonio netto nel caso di società o enti;
– il diritto ai proventi sia postergato rispetto a tutti gli altri soci o partecipanti che devono percepire un ammontare pari al capitale investito e un rendimento minimo;
– le azioni, le quote o gli strumenti finanziari siano mantenuti dai dipendenti e amministratori o, in caso di decesso, dai loro eredi, per un periodo minimo di 5 anni o fino al cambio di controllo o di sostituzione del soggetto incaricato della gestione.
Il caso di specie esaminato riguardava una società in cui un fondo di investimento aveva fatto ingresso con una partecipazione di minoranza, mentre il socio di maggioranza continuava a detenerne il controllo. Nell’ambito dell’operazione di investimento sono stati poi emessi degli strumenti finanziari partecipativi (SFP) a favore di alcuni manager chiave della società, per la cui sottoscrizione gli stessi potevano beneficiare di un finanziamento fruttifero, emesso dalla società emittente a valori di mercato, per un importo pari al 50% dell’investimento effettuato.
L’Agenzia delle Entrate è intervenuta chiarendo che la fattispecie esposta dall’istante non rispetterebbe i requisiti richiesti dal citato art. 60 del DL 50/2017, in quanto:
– il ritorno economico è stato correlato al solo disinvestimento del fondo che è socio di minoranza senza essere vincolato al disinvestimento da parte del socio di maggioranza e gli altri soci;
– non è stato rispettato il vincolo di detenzione minima quinquennale degli strumenti, essendo previsto che la liquidazione potesse avvenire al momento dell’uscita del fondo senza cambio di controllo;
– l’investimento dei manager poteva essere finanziato fino al 50% dalla stessa società emittente, con rimborso posticipato all’evento di liquidità e compensazione automatica, venendo meno in tal modo il requisito dell’effettività della partecipazione al rischio economico da parte dei manager e determinando il mancato rispetto della condizione dell’investimento minimo dell’1%.
Per tutti questi motivi l’Agenzia ha ritenuto che i proventi derivanti dal riscatto degli strumenti finanziari partecipativi debbano essere ricondotti ai redditi di lavoro dipendente, anziché ai redditi di capitale.
Lorenzo Tirindelli
Dottore Commercialista – Studio Epica Treviso Montebelluna
