POST 186

Indietro non si ritorna, il raddoppio
dei termini è abbandonato dal periodo d’imposta 2016, ma per il passato le
regole d’ingaggio rimangono immutate. E’ questo il messaggio che traspare dall’ultima
pronuncia con la quale la Corte di Cassazione ha confermato la disciplina dell’istituto
anche a seguito delle modifiche introdotte dalla Legge di stabilità 2016 (art.
1, commi 130, 131 e 132 della legge 28/12/2015, n. 208, in vigore dal 1°
gennaio 2016).

Richiamando la sentenza della Corte Costituzionale
n. 247 del 2011 e la propria giurisprudenza in materia, il Supremo Collegio ha
stabilito:

a) che il raddoppio dei termini per
l’accertamento si applica (retroattivamente) “anche alle annualità d’imposta anteriori a quella pendente al momento
dell’entrata in vigore delle disposizioni indicate (4 Luglio 2006), perché
queste, stabilendo il prolungamento dei termini non ancora scaduti alla data di
entrata in vigore del decreto-legge n. 223 del 2006, incidono necessariamente
(protraendoli) sui termini di accertamento delle violazioni che si assumono
commesse prima di tale data
”;

b) che il “raddoppio” deriva dal mero
riscontro di fatti comportanti l’obbligo di denuncia penale ai sensi dell’art.
331, cod. proc. pen., “indipendentemente
dall’effettiva presentazione della denuncia (in specie, Cass. n. 1171 del 2016),
dall’inizio dell’azione penale e dall’accertamento penale del reato, restando
irrilevante, in particolare, che l’azione penale non sia proseguita o sia
intervenuta una decisione penale di proscioglimento, di assoluzione o di
condanna (dato anche il regime del cosiddetto ‘doppio binario’ tra giudizio
penale e procedimento e processo tributario, evidenziato dall’art. 20 del
d.lgs. n. 74 del 2000)
”.

Dopo aver definito (riaffermandole) le
regole di operatività del raddoppio dei termini di accertamento, la Corte di Cassazione
ne ha chiarito l’ambito temporale stabilendo:

a) che le stesse si applicano agli
accertamenti già notificati entro il 2 settembre 2015 nonché a quelli
notificati successivamente, purchè entro il 31 dicembre 2015, per effetto di
inviti a comparire o processi verbali di constatazione notificati al
contribuente entro la stessa data del 2 settembre 2015 (comma 3 dell’art. 2 del
d.l.vo 5 agosto 2015, n. 128, in vigore dal 2 settembre 2015);

b) che soltanto per i casi diversi da
quelli sopra esposti trova applicazione il regime transitorio dettato dalla citata
Legge di stabilità 2016, relativamente ai periodi d’imposta anteriori a tale
anno, secondo cui “il raddoppio non opera
qualora la denuncia da parte dell’Amministrazione finanziaria, in cui è
ricompresa la Guardia di finanza, sia presentata o trasmessa oltre la scadenza
ordinaria dei termini di cui al primo periodo
” (31 dicembre del quinto anno
successivo alla dichiarazione Iva e/o imposte sui redditi ovvero settimo anno
successivo a quello in cui la dichiarazione stessa avrebbe dovuto essere
presentata).

Dal periodo d’imposta 2016 invece, come
detto, il raddoppio dei termini per l’accertamento tributario dell’Iva e delle
imposte sui redditi cesserà di esistere.

E’ facile prevedere che il suddetto
quadro normativo, come delineato dall’articolata sentenza in commento, avrà un
impatto dirompente sui contenziosi in corso, ribaltando a favore dell’Agenzia
delle Entrate le sentenze delle Commissioni Tributarie disallineate dai (più
rigorosi) principi ora esposti.

Il Supremo Collegio infine ha affermato
che il raddoppio dei termini dell’accertamento nei confronti della società di
persone si estende automaticamente anche agli accertamenti del reddito di
partecipazione dei soci, senza la necessità di una distinta notifica agli
stessi del processo verbale contenente la contestazione dei fatti di reato
previsti dal D.L.vo 2000, n. 74. La stessa regola era già stata applicata dalla
Corte relativamente ai soci di una società di capitali a ristretta base
partecipativa (sentenza n. 20043 del 2015).

L’attrazione degli accertamenti Irpef
entro il termine “raddoppiato” per l’accertamento del maggior reddito societario
tuttavia dovrà essere contemperato con il diritto di difesa (costituzionalmente
garantito) delle persone fisiche rispetto ai fatti contestati alla società
partecipata, come la stessa sentenza sembra implicitamente riconoscere laddove
si sofferma sul (dimostrato) coinvolgimento, nel caso specifico, dell’intera
compagine sociale nell’uso fraudolento delle false fatture.

Claudio
Tiberti – Avvocato Tributarista